Chaplin, Grock, i Fratelli Marx, i Fratellini: dei clown a confronto con Jimmy Savo

STAGE-DOOR JOHNNY, ESQ.

Chaplin, Grock, i Fratelli Marx, i Fratellini: dei  clown a confronto con Jimmy Savo

AGOSTO 1935 – JOHN V. A. WEAVER

Ho frequentato luoghi di spettacolo  per quasi trent’anni, uomo e superuomo, e in tutto questo  tempo ho visto molti clown, stranieri e nostrani, sia qui che all’estero. La maggior parte di quelli  universalmente riconosciuti come i più grandi. Dopo una profonda riflessione, sono costretto ad annunciare che il monarca assoluto di tutti loro è quel minuscolo divoratore di spaghetti: Jimmy Savo.

Ciò solleverà, senza dubbio, una fiera protesta fra i miei lettori  —tutti e cinque—per questa incoronazione. Savo ha avuto ed ha molti rivali, passati e presenti, e ciascuno di loro  lo supera forse per  uno o due aspetti. Ma se consideriamo la comicità nel suo insieme, ritengo che lui sia il migliore.

Scommetto che ci saranno valanghe di voti per il candidato eternamente osannato dai giganti della radio, come A. Woollcott, ovvero per  Harpo Marx. Io stesso ho riso dei numeri di Harpo per i primi sette o otto anni in cui l’ho visto—e la mia conoscenza del suo spettacolo risale addirittura a un music hall in una sala concerto di Londra nel 1922. Ma non ha mai aggiunto una sola nuova gag al suo repertorio originale, e ormai lo colloco in alto nella mia lista delle cose di cui mi sono stancato. Lavora solo a mezzo servizio. Groucho è molto più divertente.

I più sentimentali ricordano sempre Marcelline come il più grande artefice di risate di tutti i tempi, e alcuni vanno in estasi per Grock. Li ho visti entrambi più volte e li ho trovati moderatamente divertenti; ma il loro medium era quello del circo, quindi rivolto a un pubblico dal cuore estremamente semplice, e quindi piuttosto limitato. I pagliacci dal volto infarinato non hanno mai avuto nemmeno un livello elementare di sottigliezza tale da generare più di qualche lieve sorriso sul mio volto di critico acidulo.

Questo vale in particolare per i Fratelli Fratellini, i cui sfrenati elogi, da parte di un’amica, mi hanno una volta spinto a intraprendere un pellegrinaggio frenetico da Cagnes fino a Parigi, per non perdere i loro trionfi al Cirque Médrano. Se la signora in questione sta buttando un occhio su queste righe, potrà finalmente risolvere il mistero della mia successiva freddezza nei suoi confronti.

I suoi idoli, ho così scoperto, erano sommersi da  un mare di oggetti di scena, palloni gonfiabili e bastoni da slapstick. Il capolavoro del loro spettacolo era una serenata cantata in modo rauco da uno di loro, che si accompagnava con una gigantesca chitarra. Verso la fine della canzone, la chitarra esplodeva, e ne uscivano intestini di cartapesta, un cuore e un fegato. Dal loro stile si capisce tutto.

Temo che il problema di Joe Cook (un vaudevillan come Savo n.d.r.)siano proprio gli oggetti di scena. Per quanto sia versatile, sembra non riuscire mai a lavorare senza una miriade di gadget, che finiscono per diventare più importanti di lui. Ed Wynn, che un tempo prometteva di essere un grande comico, si è rovinato affidandosi troppo ai cappelli-trucco, tanto quanto alle battute logore. Il sigaro di Bobby Clark, d’altro canto, è in qualche modo un bene, poiché è parte essenziale della sua mimica irriverente; potrebbe facilmente tornare tra i migliori se solo si liberasse di McCullough, che ha tanto carattere quanto Eugene Howard o una zuppa di piselli andata a male.

Jimmy Durante ha i suoi fedeli ammiratori, e io sono stato uno di loro, fino al momento in cui  ha cercato di vendere la sua roba in troppe direzioni, disperdendola e quasi distruggendola. Tuttavia, credo che possa davvero fare un ritorno in grande stile se continua a rinunciare al cinema e ai microfoni, e si dedica a uno spettacolo come Jumbo, come si vocifera.

Chaplin naturalmente  non ha rivali nella pantomima

Nei modi  silenziosi di trasmettere l’umorismo, è ancora il re indiscusso, nonostante quella punta di manierismo autocompiaciuto che sembra essere stata causata dalle raffinate elucubrazioni di critici preziosi come Gilbert Seldes, che ha applaudito il suo complesso di Amleto.

Non vorrei mancare di rispetto a Savo definendolo  un artista più raffinato  di Chaplin. Forse ciò che intendo dire è che Savo mi fa ridere più intensamente e in più modi rispetto a qualsiasi altro comico.

Non riesco a capire se abbia volutamente modellato il suo personaggio su quello di Chaplin. Non sembra abbastanza anziano da averlo preceduto. Di certo, il loro trucco e la loro mimica hanno somiglianze evidenti.

Savo, è vero, non porta baffi e non si limita a un solo costume. Ma il suo abbigliamento preferito prevede  pantaloni voluminosi, sempre sul punto di cadere, e, invece della classica giacca lisa, un frac sproporzionato dai colori sgargianti—in breve, la stessa struggente determinazione a voler sembrare elegante.

Savo e Chaplin: simili  all’apparenza ma profondamente diversi. La pantomima e i movimenti di Savo si rifanno in parte a quelli di Chaplin, ma sono più ampi e meno sottili. Tuttavia, il vero punto di rottura tra i due sta nello spessore  filosofico del personaggio che Savo porta in scena.

Chaplin è l’aristocratico in rovina, un mascalzone, un  furbone  ma, comunque,  adorabile, che attraversa mille peripezie  ma alla fine, grazie alla sua astuzia e destrezza, finisce col  trionfare.

Savo, invece, è la vittima predestinata, l’umanità goffa e sfortunata, che si maschera in  brandelli di splendore, sperando con tutto il suo  cuoricino di riuscire ad ingannare il pubblico (ed il destino) illudendolo con la sua rispettabilità e le  sue possibilità di successo.

Si destreggia da un guaio all’altro, l’ottimista perenne, radioso di fiducia e sicurezza, sempre certo—con tutto sé stesso—che questa volta gli andrà bene. Ma non va mai bene. Non raccoglie altro che fallimenti. Frustrato e confuso, lui si aggrappa comunque alla sua fede, sorride coraggiosamente nonostante tutto, raccoglie il suo corpo malconcio e la sua anima ferita e va incontro,  a capofitto, al prossimo disastro.

Al suo massimo livello di comicità, la sua arte cammina su quel filo sottilissimo che separa il ridicolo dalla tragedia più profonda. Come ho già detto, non è proprio all’altezza di Chaplin nella pantomima.

Tuttavia, riesce a far urlare il pubblico dalle risate con quindici minuti di clowning  (pantomina da  muto), come nello sketch della rivista   del Theater Guild, Parade (sì, quella bizzarra rivista che ha ispirato immediatamente questa discussione), dove, nei panni del proprietario di una gigantesca fabbrica di lattine, cerca di far funzionare da solo il macchinario (per far fronte allo sciopero delle maestranze n. d. r.).

 

Ma Savo sa anche ballare, recitare,  dialogare e cantare. Chaplin non ha mai nemmeno provato a cimentarsi in queste ultime due abilità, e qui Savo ha un vantaggio enorme. La sua voce roca e vibrante sa rendere ogni battuta con grande efficacia. E la sua voce da cantante è davvero bellissima.
Quei toni chiari e cristallini, quasi da uccellino, sono esattamente quelli che ci si aspetterebbe da un folletto napoletano.

No, i folletti sono noti per la loro malizia a volte crudele, e in lui non c’è un briciolo di cattiveria. piuttosto , penso che quando quella vocina sottile e squillante esce da sotto quegli occhi tondi e tristi, mi ricorda piuttosto  un tordo leggermente costipato.

Il Savo di Parade

Nello spettacolo Parade, Jimmy non ha pezzi di grande richiamo come River, Stay Away From My Door, né testi incisivi né melodie memorabili con cui conquistare ed incantare il pubblico; eppure, riesce comunque a divertire, anche con materiali di scarsa qualità.

 Nei suoi sketch è irresistibile, e la maggior parte del repertorio che propone sembra essere farina del suo sacco, perché è difficile credere che quegli autori abbiano potuto scrivere per lui con ispirazione, rimanendo invece così insipidi in tutto il resto dello spettacolo.

Si tratta di una sfilza di prediche comuniste e strilli di denuncia, tra dialoghi stucchevoli e versi banali. Anche se la musica fosse stata migliore, il tutto sarebbe comunque rimasto mediocre. Non c’è nemmeno l’occasione per una vera risata, fatta eccezione per le trovatedi Savo.

Troppo fervore rivoluzionario, troppo poca sostanza! Con gli occhi spiritati di furore rivoluzionario, lo spettacolo non è poi così travolgente, e si possono sentire discorsi altrettanto infiammati ogni giorno in  Union Square o presso Columbus Circle.
Qualunque simpatia il sottoscritto  possa aver provato per il radicalismo, è stata spazzata via da queste esternazioni  di estrema sinistra, fatta eccezione per quelle della Group Theatre. Il contatto con questi spettatori infervorati e le dichiarazioni dei predicatori del nuovo millennio mi hanno completamente disilluso.

E allora perché non adottare uno slogan migliore?  “Meno comizi in piazza e più sapone” sarebbe una gran bella frase da stampare sui manifesti.

“Parade” è così noioso che sospetto possa trattarsi di un altro complotto capitalistaSssshh! Gli interessi malvagi (dei capitalisti ndr)  lo hanno fatto mettere in scena affinché i Compagni, sfiniti dalla noia, scoraggiassero possibili convertiti alla causa. È quello che chiamano “distruggere dall’interno”.

Riesci a immaginare il brivido di ascoltare inni in cui gli schiavi salariati martirizzati cantano versi come “La vita potrebbe essere così bella, se solo la ricchezza fosse condivisa” oppure Come possiamo ballare felici, con la paura del domani nei nostri cuori?—non sono proprio queste le parole esatte, ma ti assicuro che gli originali non erano meno patetici.

Man mano che la serata trascinava, non mi sarei sorpreso di sentire canzoni del tipo Moscow Mammy o’ Mine o U.S.S.R. spells I Love You.

(L’articolo continua parlando degli altri spettacoli tenuti tenuti, in quei giorni, negli  altri teatri di Broadway)

Alcune considerazioni

Il titolo Chaplin, Grock, i Fratelli Marx, i Fratellini: dei  clown a confronto con Jimmy Savosembra  suggerire  che tutte queste celebri figure della comicità siano semplici clown se paragonati a Jimmy Savo e cioè che Savo abbia una profondità artistica e una versatilità che lo distinguono dagli altri comici citati, relegandoli a una dimensione più semplice o convenzionale della comicità. In altri termini l’autore sembra ritenere Savo, grazie alla sua originalità, molto più versatile dei comici citati che continuano a replicare sé stessi senza una crescita effettiva nella loro arte

L’occhiello “STAGE-DOOR JOHNNY, ESQ.” è un titolo che gioca con più significati e riferimenti culturali, ma probabilmente ironizza sul pellegrinaggio dell’autore dell’articolo in tutti i teatri nazionali ed internazionali come quegli uomini affascinati dallo spettacolo teatrale al punto di attendere, pazientemente, fuori del teatro. le uscite degli artisti, soprattutto delle attrici e delle ballerine.

Inoltre l’inciso “man and superman,” all’interno della frase, ha un valore piuttosto  enfatico e ironico, e potrebbe essere interpretato come “ne ho visti tanti e di tutti i colori”. Va anche detto che potrebbe essere un riferimento letterario a George Bernard Shaw che ha scritto un’opera teatrale, intitolata appunto Man and Superman (1903) che esplora la lotta tra l’umanità e le sue aspirazioni superiori, tra l’uomo comune e l’eroe. In questo caso viene da pensare che rafforza l’intero assunto dell’articolo e cioè che pone l’eroe, Jimmy Savo, ben  al di sopra degli altri attori con le sue caratteristiche.

John Van Alstyne Weaver  (17 luglio 1893 – 14 giugno 1938) è stato un poeta, romanziere e sceneggiatore statunitense, le cui opere hanno ricevuto il plauso di H. L. Mencken, uno dei più influenti critici letterari dell’epoca.

L’immagine a lato  mostra John V.A. Weaver in occasione del matrimonio con l’attrice Peggy Wood. La didascalia dell’immagine redita:

L’attrice Peggy Wood, sorridente, indossa un abito da sposa bianco impreziosito da perle e tiene in mano un bouquet di fiori d’arancio. È a braccetto con il marito, John V. A. Weaver, che, in smoking nero, la guarda sorridendo.

La sua produzione letteraria si è estesa con successo anche al teatro e al cinema, con diversi suoi lavori adattati per il palcoscenico e il grande schermo. Inoltre, ha collaborato come sceneggiatore su progetti cinematografici tratti da opere di altri autori, contribuendo in maniera significativa allo sviluppo della sceneggiatura come forma d’arte nella Hollywood degli anni ’20 e ’30.

Weaver si distingue per una scrittura raffinata e incisiva, capace di spaziare dalla poesia alla narrativa fino alla sceneggiatura cinematografica, mostrando una versatilità rara per il suo tempo. Il suo talento gli ha permesso di lasciare un’impronta duratura nella cultura americana, anche se la sua carriera è stata prematuramente interrotta dalla sua morte nel 1938 (solo 16 anni dopo il suo matrimonio).